23 novembre 2010

La legge di Ibra..

Ibra vuol dire scudetto: ma l'Europa?
È sempre più il Milan di Ibrahimovic. E più lo diventa, più compie passi fondamentali verso lo scudetto. Contro quella che forse è stata la migliore Fiorentina della stagione, i rossoneri vacillano, trovano il gol con una prodezza dello svedese, e poi devono ringraziare Abbiati se i viola non sono riusciti a trovare quello che sarebbe stato il meritato pari.

Certamente il passaggio dal modulo-fantasia al modulo coi tre mediani ha contribuito in modo fondamentale al ritrovamento della solidità che si era andata perdendo, ma è evidente come il salto di qualità maggiore lo stia facendo fare proprio lo svedese col 47 di piede e la tecnica di un numero 10.

Se ne dicono tante su Ibra. Eccessive, ingenerose, forse esagerate, ma di certo è uno che fa parlare di sè e questo senza dubbio rientra nel personaggio: sbruffone, irriverente, zingaro, forte coi deboli, debole coi forti, insomma chi più ne ha più ne metta. Certo è che Zlatan è uno che divide, e che quasi sempre accompagna il suo approdo ad un nuovo club con frasi importanti, salvo poi scapparsene come un ladro non appena sorgono nuovi stimoli e, chiaramente, nuovi mal di pancia.

Qualunque squadra lo abbia avuto con sè lo ha amato alla follia, forse eccetto il Barcellona che comunque gli riservò un'accoglienza da star. Adesso se si parla ad uno juventino o un'interista di Ibrahimovic probabilmente direbbe dello svedese peste e corna. La verità è che comunque, Ibrahimovic vuol dire scudetto: tra Ajax, Juventus, Inter e Barcellona, chi ha lui al centro dell'attacco vince, e quasi sempre dentro i confini il suo marchio è inconfondibile. Al punto da far pensare che il prezzo da pagare sia costruire una squadra che giochi solo ed esclusivamente attorno a lui.

Persino il Milan dei brasiliani sta cambiando attorno al suo numero 11. E lo sta facendo perchè anche la squadra più fantasiosa d'Italia si sta rendendo conto che in Italia, il modulo "palla a Ibra, e via" paga, eccome se paga. Squadra solida dietro, e davanti la giocata prima o poi arriva. L'Inter lo ha fatto con ottimi risultati, Allegri probabilmente sta "rubando" l'idea utilizzando semplicemente l'intelligenza: alla fine, il tifoso vuole vincere, inutile raccontarsela parlando di bel gioco e possesso palla. E i rossoneri, dopo 6 lunghi anni, adesso sono in fuga solitaria.

Certo, rimane il capitolo Europa. La legge di Ibra finora è valsa solo ed esclusivamente entro i confini del proprio Paese di militanza, ma le prestazioni importanti in Champions dello svedese si contano sulle dita di una mano. E nell'ultima edizione del trofeo dalle grandi orecchie, Zlatan ha toccato il suo punto più basso, facendo scena muta nel doppio confronto da ex contro l'Inter, in cui si capì una volta per tutte che il suo innesto nel Barça orchestrale di Guardiola era definitivamente fallito. Evidenziando, oltretutto, la difficoltà dello svedese di inserirsi nella coralità della manovra blaugrana, dove con i vari Messi, Xavi, Iniesta, lui era solo uno dei tanti e non poteva certo recitare la sua parte preferita, ovvero la primadonna con dietro 10 uomini pronti a servirlo.

Quando il gioco si fa duro, verrebbe da dire, Ibra smette di incantare: questo credo sia vero solo in parte, ma è evidente che nelle corazzate in cui ha militato lo svedese non ha lasciato il segno in campo continentale, facendo solo magre figure al cospetto dell'elitè del calcio europeo. Questo mentre i vari Messi, Ronaldo, Kakà, e il suo sostituto nell'Inter Milito davano vita a magiche notti culminate, in annate diverse, con la conquista della coppa più ambita.

La tendenza può sempre essere invertita, ma ora più che mai dipende solo da lui. A 28 anni, è tempo di essere decisivi non solo nella mediocre serie A attuale, in cui Ibrahimovic costituisce senza dubbio un patrimonio ineguagliabile, ma anche nelle notti europee in cui testa e attributi contano forse quanto tutto il resto. Altrimenti avranno ragione tutti coloro che ancora lo ringraziano per essere emigrato in Catalogna, fornendo a quella squadra che abbracciò Eto'o il lasciapassare per la più bella avventura che la memoria dei giovani interisti ricordi.

3 commenti:

  1. Approfitto allora per ringraziare ancora una volta il barce per averci dato ETO'O+50 MILIONI per lo zingaro.

    Lo schema "dare palla a ibra e stop" è buono per vincere la A, ma questo milan non è paragonabile alla nostra Inter di quegli anni.

    Da noi segnavamo tutti in rosa, nel milan segna solo lui, con qualche sporadica apparizione di qualche suo compagno.

    D'altronde abate non è maicon e gattuso non è cambiasso.

    Ciao.

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  2. Vincenzo, bisogna essere onesti: senza Ibrahimovic, lo scudetto vinto a Parma probabilmente sarebbe andato a Roma. In quell'annata particolare, l'Inter si poggiava solo sulle spalle delle sue invenzioni, ed anche l'anno dopo quando vinse il titolo di capocannoniere la sua impronta sullo scudetto fu netta, inconfondibile.

    Poi bè, le figuracce e le pernacchie che si è preso in Champions sono storia, e sono anch'io del parere che senza lo scambio Ibra-Eto'o la coppa non sarebbe mai arrivata a Milano.

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  3. www.pianetasamp.blogspot.com

    D'accordissimo con la tua analisi, Ibra deve essere il solista, in un'orchestra come il Barcellona stecca inevitabilmente e Allegri, da tecnico intelligente qual è l'ha capito alla svelta...ciao!

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